Emio Greco

1965, Brindisi - Italia

Danzatore e coreografo. Fonda la sua compagnia EG | PC con Peter C. Shoelten nel 1995 ad Amsterdam. La loro personalissima cifra stilistica decostruisce gli stilemi della danza classica per approdare ad un corpo “viatico dell’immaginazione” lavorando sul rapporto tra coreografia, teatralità e ricerca musicale.

art field

danza

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corpo, musica

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Romaeuropa Festival

date

Passione

L’intervista è stata commissionata dalla Fondazione Romaeuropa per i programmi di sala del festival.

Con l’imprescindibile contributo del compositore Frank Krawczyk, in Passione, Emio Greco e Peter C. Shoelten rielaborano la Passione secondo Matteo di Bach in uno spettacolo costruito per la compagnia dell’Opera di Marsiglia.

Insieme a Frank Krawczyk, come avete lavorato su questo patrimonio musicale?

Passione è un lavoro a sei mani: coinvolge Peter C. Sholten, mio partner artistico e Frank Krawczyk, musicista e compositore. Insieme ci siamo permessi di entrare in un terreno delicato e minato, quello di una delle opere più emblematiche del repertorio musicale: la Passione Secondo Matteo di Bach.

textfoto Alwin Poiana

Krawczyk ha ri-arrangiato l’intera opera al pianoforte e creato la partitura che lui stesso esegue in scena durante lo spettacolo. Si è lasciato guidare dalla nostra intuizione e noi abbiamo potuto usufruire di tutta la sua conoscenza musicale. Musica e coreografia sono stati costruiti seguendo i sette principi, poetici e coreografici, del manifesto che io e Peter scrivemmo nel 1995, quando fondammo la nostra compagnia EG | PC. Ognuno dei sette danzatori in scena interpreta e incarna uno di questi principi:

Ho bisogno di dirvi che il mio corpo è curioso di tutto e che io sono il mio corpo Ho bisogno di dirvi che non sono solo Ho bisogno di dirvi che posso controllare il mio corpo e allo stesso tempo giocarci Ho bisogno di dirvi che il mio corpo mi sfugge Ho bisogno di dirvi che posso moltiplicare il mio corpo Ho bisogno di dirvi che bisogna che voltiate lo sguardo Ho bisogno di dirvi che vi abbandono e vi lascio la mia statua

Attraverso questi principi coreografici abbiamo modificato la struttura delle diverse parti che compongono La Passione secondo Matteo e l’abbiamo riletta attraverso la storia del corpo.

textfoto Alwin Poiana

La Passione secondo Matteo era già al centro del tuo Passione in due (2012), coreografia che segna l’inizio della collaborazione con Krawczyk. Questa nuova scrittura coreografica è invece pensata per il corpo di ballo dell'Opera di Marsiglia, che insieme e Pieter C. Sholten, dirigi dal 2014.

Quello che prima era espresso da un corpo solo (il mio) è stato accolto da sette interpreti diversi. Abbiamo potuto mantenere coerenza e fedeltà verso i nostri principi iniziali, aprendoli all’interpretazione e al dialogo. La struttura di questo spettacolo è quella di sette dialoghi coreografici. Ognuno dei danzatori si è appropriato dei sette principi secondo la propria sensibilità.

Come hai lavorato insieme al corpo di ballo dell’Opera di Marsiglia?

Fin dall’inizio abbiamo deciso di sostituire la definizione di “corpo di ballo” con quella di “corpo del ballo”. Volevamo annullare le gerarchie presenti nella prima definizione e sottolineare come i danzatori che compongono la compagnia siano tutti solisti ognuno con le medesime responsabilità. Già questa prima distinzione ha provocato nel gruppo un cambiamento di spirito, un’assunzione di responsabilità e al contempo una disponibilità al dialogo, un’apertura verso il nostro modo di concepire la danza. Abbiamo quindi potuto lavorare sull’idea di un “corpo in rivolta”, potenzialmente in opposizione. Definiamo il corpo un “viatico dell’immaginazione”: esso è da un lato un corpo educato (la tecnica, quella classica in questo caso, è essenziale per creare libertà), dall’altra uno strumento attraverso il quale dar voce all’intuizione e all’interpretazione.

textfoto Alwin Poiana

La scena di Passione è quasi vuota, ma un tappeto di sabbia la ricopre. I danzatori vi lasciano le proprie tracce che si sovrappongono l’una all’altra.

La sabbia permette di lasciare delle tracce, di imprimere una memoria, ma rappresenta anche ciò che siamo: polvere. È un elemento che evoca le due anime della nostra ricerca poetica sempre sospesa tra sacro e profano. Inoltre dona una certa circolarità allo spazio, lo fa assomigliare a un’arena, una pista da circo su cui agiscono sette saltimbanchi, a volte tristi a volte visionari, matti persi in un “paradiso per matti”.